Le persone vere spaventano. Per questo spesso rimangono sole. Perché sono sincere, sono oneste e quando vogliono dire qualcosa, lo dicono nel modo più vero che conoscono.
Margherita Hack
Ci sono luoghi di te inesplorati che spesso vorresti rimanessero tali. Tuttavia, non puoi nasconderli a lungo, riemergono sempre e soprattutto nei momenti meno opportuni facendoti sentire sbagliata, arrabbiata, incapace, fino a portarti alla vera e propria disperazione. Allora decidi di reagire e aprire quei cassetti per sfogliarne il contenuto come fossero libri. Ne escono così parole che, dopo un’attenta riflessione, decidi di condividere. Superata la prima fase di grande vergogna in cui ti chiedi cosa possa interessare agli altri di quello che provi, ti rendi conto, invece, che parte una reazione a catena in cui succedono due cose, entrambe molto profonde e consolatorie.
La prima è che tirar fuori certe esperienze, certe sensazioni, certe emozioni ti fa sentire meglio perché, nel momento stesso in cui le scrivi, le rendi reali, dai loro una forma concreta e quindi non le puoi più nascondere a te stessa, ma ci dialoghi quasi alla pari e ti senti soddisfatta per averle portate alla luce del sole. Almeno per me è sempre stato così: se parlo di qualcosa e se addirittura lo scrivo lo devo per forza affrontare.
L’altra cosa è ancora più magica: il tuo vissuto, messo nero su bianco, non solo non è fonte di vergogna né di derisione ma, anzi, raccoglie il consenso di altri che hanno attraversato o stanno attraversando momenti simili. Arrivano così riscontri bellissimi di persone che addirittura ti ringraziano di esserti messa allo scoperto perché, leggendo ciò che scrivi e guardando le foto con cui accompagni i tuoi pezzi, si sentono meglio e soprattutto comprese.
Quando questo accade, ti si apre il cuore e non riesci a non sorridere, perché senti di non essere sola nel tuo dolore e che il tuo vissuto è capito, accettato, non giudicato e anzi co-partecipato da altre persone che, come in un’orchestra, risuonano insieme a te creando un coro di magnifiche voci. Voci che, da sole, si sentivano perse, stonate e fuori luogo mentre, accordate tutte insieme, danno vita a un’incantevole armonia.
Perché succeda questo non mi è ancora del tutto chiaro: empatia, bisogno di rivederci negli altri come in uno specchio che riflette la nostra immagine e che da soli non riusciamo a focalizzare? Forse entrambe le cose e forse molto altro ancora. La scrittura ne è il tramite e fa da trait d’union tra anime affini.
Scrivere diventa terapeutico e personalmente mi è sempre piaciuto. Ai tempi della scuola mi sbizzarrivo con temi lunghi e articolati che, con mia grande soddisfazione, ricevevano sempre piena approvazione da parte degli insegnanti. All’università ho seguito un corso di scrittura che mi ha fatto amare ancora di più questa forma di espressione, merito anche di un professore magnifico che purtroppo non è più con noi. Poi, come per il disegno – un’altra mia grande passione –, ho trascorso anni senza dare più vita a nulla, presa dai mille impegni e problemi quotidiani.
Quasi per caso, sei anni fa, ho ricominciato a scrivere su un quaderno regalatomi da un’amica: erano brevi pensieri buttati giù insieme a bozzetti colorati, per riunire parole e disegno in forme semplici che mi aiutassero a uscire dall’impasse in cui ero finita. Era un modo per concludere la giornata riflettendo su come era andata e fare propositi per l’indomani.
Poi ho iniziato a scrivere di me, una sorta di catarsi: scrittura come percorso introspettivo, voglia di capire e condividere, ma anche strumento di creatività per far nascere qualcosa che non c’era e che, magari, continuerà dopo di me.
Grazie a tutte le anime belle che risuonano insieme alla mia. Mi fanno sentire meno sola, meno strana e non del tutto fuori dal coro o, se vogliamo, in un coro tutto nostro.