Per chi lavora con le parole e con i testi, la punteggiatura è uno scoglio non indifferente.
Spesso mi chiedo come mai sia così difficile usarla quando scrivo e altrettanto difficile da correggere quando mi dedico a testi altrui.
Francesca Serafini prova a rispondere a questo interrogativo nel libro: Questo è il punto. Istruzioni per l’uso della punteggiatura:
«Proviamo allora a pensare all’apprendimento della lingua come a un videogioco a più livelli. […] Al primo livello c’è il lessico: la scoperta delle parole […]. Al secondo, si apprende che quelle parole devono essere declinate […] o coniugate […]. Poi, al livello più alto, c’è la sintassi, che combina le singole unità della frase in un insieme che acquisisce senso; e poi ancora le frasi tra loro. Se stiamo al gioco, dunque, nella scrittura il mostro più difficile da abbattere – ma anche l’aspetto più gratificante della sfida – si incontra lì. La sintassi è la parte della lingua che si lega al pensiero: è il pensiero che si dispiega in lingua. […] Serve un’esperienza della lingua a cui si arriva soltanto con l’esercizio continuo nella lettura e nella scrittura. […] Si capisce allora perché, per tornare al videogioco, la sua conoscenza si collochi al livello più alto di difficoltà, e perché, di conseguenza, nella scuola dell’obbligo si sia radicata quella tolleranza nei confronti dell’errore interpuntivo […]. Non a caso, la sintassi nel suo complesso è studiata più avanti nel percorso scolastico, a un diverso livello di maturità; e, anche nelle grammatiche, i capitoli relativi alla sintassi della proposizione e a quella del periodo sono tra gli ultimi».
Risulta quindi più chiaro come mai gli insegnanti sono così ‘clementi’ con gli errori legati alla punteggiatura, ma anche come mai è facile trascinarseli tanto a lungo e, talvolta, non liberarsene mai.
La tesi alla base di questo libro è che i segni interpuntivi vanno usati «non tanto correttamente quanto consapevolmente», teoria ispirata al racconto di Anton Čechov Il punto esclamativo: «Ma l’abitudine è tutt’altra cosa dall’istruzione. Non basta che i segni d’interpunzione li poniate correttamente… non basta! Bisogna porli consapevolmente! Voi mettete una virgola e dovete aver coscienza del perché la mettete… sissignore! E questa vostra ortografia incosciente… di carattere riflesso non val nemmeno un centesimo. Ѐ produzione meccanica e nulla più».
Quindi, «le eccezioni (comprese quelle d’autore) esistono per definizione solo rispetto a una regola che si dà per assodata». Ciò significa che per poter parlare di stile e di uso personale della punteggiatura, bisogna prima conoscere cosa stabilisce la norma.
Riassumendo: prima studiamo per bene le regole, le applichiamo, leggiamo e scriviamo tantissimo e poi – forse – possiamo arrivare a un livello tale da permetterci qualche deroga! Deroga che diventa legittima dal momento che ne siamo, appunto, consapevoli.
E infatti Serafini scrive: «A questo serve la consapevolezza. Quella che gli editor dovrebbero verificare con gli autori ogni volta che si trovano di fronte a una stravaganza interpuntiva, o linguistica in senso lato».
A supporto della sua tesi, l’autrice arricchisce il discorso con numerosi esempi e citazioni d’autore, oltre a fare riferimento a figure note: l’amato (e compianto) Luca Serianni, con la sua storica ma sempre aggiornata Grammatica italiana; il linguista Andrea De Benedetti con Val più la pratica; Bice Mortara Garavelli e l’intramontabile Prontuario di punteggiatura. Non può invece citare – perché pubblicata successivamente – un’altra opera sull’interpunzione che merita di essere letta, ossia Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto di Leonardo G. Luccone.
E conclude con una citazione di Chuck Palahniuk – autore che ho amato molto in una fase della mia vita – a proposito della lingua: «altro non è che il nostro personale modo di spiegare lo splendore e la meraviglia del mondo. Per decostruirlo. Liquidarlo. […] la gente non è in grado di reggere la vera bellezza del mondo. Il fatto che non possa essere spiegata o compresa».
Un libro, quello di Serafini, che mi è piaciuto molto, sia per gli spunti di riflessione, sia per l’apertura nei confronti dell’evoluzione della lingua in quanto viva.