Questo è il racconto di un’amica, una storia vera, verissima. Io ho pianto tanto e mi sono emozionata. Non so che effetto avrà su di te.
«Era il cane di mio zio, in campagna, e lui lo trattava malissimo. Era, mio zio, una bestia ignorante. Lo picchiava spesso, anche a bastonate. Gli dava da mangiare poco e male, tant’è che Lessie cacciava le galline solo per mangiarle. Tutto questo finché non arrivai io.
Ragazzina di città, abituata a cani di città. Io e Lessie – che ribattezzai ‘sua maestà The King’ dato che era più alto di me – ci piacemmo subito. Era selvatico, inafferrabile, maestoso. Aveva paura dell’uomo, o forse di sé stesso rispetto all’uomo. In un attimo diventammo una cosa sola io e quel cane. Abbandonò la casa di mio zio, attaccata alla mia, per venire a vivere sotto la mia finestra. Io gli parlavo, con poche parole e molti sguardi. Lui capiva tutto. Ci chiamavano ‘il cane e la bambina’.
Mio zio intanto diventò più rabbioso, rivoleva quel cane che suo figlio aveva pagato un sacco di soldi, ma il cane restò con me. Un giorno andai a casa sua per una cosa che mi aveva chiesto mia madre. King, che non mi perdeva d’occhio neanche per un secondo e non mollava il mio fianco se non per farsi i fatti suoi, esitò davanti a quel cancello. Gli dissi di aspettarmi fuori, ma sentivo che se lui aveva paura, era pericoloso anche per me. Ed entrò. Appena lo vide, mio zio afferrò il rastrello e fece per darlo addosso al cane. Mi misi in mezzo giusto un secondo prima e lui riuscì a fermarsi. “Picchia me”, gli urlai tra le lacrime. “Picchia me.”
Per la prima volta nella sua vita King perse la calma. Cominciò a ringhiare furioso verso mio zio, rigido come il marmo, con il pelo dritto e i muscoli in tensione. Mi voltai verso di lui, lo guardai pregandolo dentro di me di calmarsi. Sapevo di non dover parlare, una mia parola e avrebbe fatto a pezzi mio zio. L’avevo visto con le prede, ma non l’avevo mai visto con il sangue negli occhi. King non volle guardarmi, puntò invece mio zio. Allora io fissai dritto negli occhi mio zio, che finalmente abbassò l’arma. King non perse di rigidità ma ora mi guardava. Lo ritrovai. Gli sorrisi e gli feci cenno di andare. Lui sbuffò e girò su sé stesso, tenendo ancora lo sguardo fisso su quell’uomo crudele. Il pelo tornò una nuvola bianca e rossa, la coda pomposa all’insù, mi diede colpetti al fianco con la testa. Eravamo salvi. Eravamo il cane e la bambina.
Mai avuto un rapporto così con un altro animale, c’era qualcosa di primitivo e gigantesco in quel cane… e nulla delle mie coccole da mammina di cani era per lui. Fronte contro fronte era il nostro bacio, dormire l’uno accanto all’altra il nostro riposo. Ero più selvatica anche io, e bastava a essere felice davvero.
Ci siamo detti addio in un giorno di settembre. So che gli hanno sparato per aver rubato l’ennesima gallina in un terreno vicino.»