Se penso alla correzione di bozze mi vengono in mente un nome e un titolo: Marilì Cammarata e Il correttore di bozze. È un libro un po’ datato – è vero – ma resta un classico per noi addetti ai lavori, oserei dire la nostra Bibbia!
Siccome è esaurito ormai da anni (e l’ultimissima copia se l’è accaparrata l’estate scorsa una mia collega scrivendo cinque minuti prima di me direttamente alla casa editrice, mannaggia al tempismo!), a gennaio mi sono messa in testa di cercare l’autrice e farle un’intervista.
“Cosa vuoi che sia”, mi sono detta, “basta trovare i suoi riferimenti ed è fatta”. Peccato che non sia presente su nessun social e non compaia nemmeno cercandola con Google (nel 2022 è ancora possibile che questo accada, accidenti!). Il compito si presentava quindi più arduo del previsto, ma io non ho mollato (mi piacciono le sfide).
Quando, dopo varie ricerche alla Sherlock Holmes, sono riuscita a recuperare il numero di telefono del mio ‘mito’ e – al terzo tentativo di chiamata – mi ha risposto, non potevo credere alle mie orecchie.
Per me è stato un grandissimo onore poter fare una chiacchierata con la dott.ssa Cammarata. Erano davvero tante – troppe – le domande che avrei voluto rivolgerle. Ma il tempo è (sempre) tiranno e non volevo approfittare della sua disponibilità. Riporto con piacere quelle che ho ritenuto più significative per me e per te, che mi stai leggendo.
Si è dedicata a molte professioni: giornalista, traduttrice, storica dell’arte, correttrice di bozze, guida turistica, ricercatrice di judaica. Quale le ha dato maggiori soddisfazioni e perché?
Quasi tutti i miei mestieri hanno una cosa in comune: la carta, da scrivere, già scritta o da leggere. Se per ‘soddisfazione’ intende ‘riconoscimenti’, allora la mia risposta è, purtroppo: nessuna. Almeno fino alla telefonata di Chiara Olivucci…
Ai correttori capita spesso, quando leggono, di correggere istintivamente, e devono davvero sforzarsi di abbandonarsi alla storia e all’intreccio per smettere di usare l’occhio di falco. Succede anche a lei o riesce a scindere le due cose?
Io faccio esattamente il contrario: per deformazione professionale e per mantenere l’occhio esercitato (anche se non ‘esercito’ più da una dozzina d’anni). Non mi consola certo la constatazione che i libri (ma anche quotidiani e riviste) siano sempre più infarciti di refusi.
Secondo lei, la mancanza di correttezza su libri/giornali è legata soltanto alla scarsità di figure preposte alla correzione/revisione dei testi – e quindi a ragioni meramente economiche da parte di chi pubblica – o anche a una minore preparazione di chi svolge la professione di cdb?
Sicuramente la causa principale è la mancanza di professionisti: gli editori (o meglio i loro uffici amministrativi) non si rendono conto che sul costo di ‘fabbricazione’ di un libro quello di (almeno) un giro di bozze incide sul totale per pochi centesimi a copia. Quand’anche decidono di introdurre questa voce di spesa, cercano di ridurne ai minimi termini il peso ingaggiando persone che, a prescindere dalla preparazione e dall’interesse, sono ‘doppiolavoristi’: la correzione di bozze è quasi sempre un secondo o addirittura un terzo lavoro. Da qui anche quella che lei con molta gentilezza chiama ‘minore preparazione’. Senza pensare poi che questo è un mestiere che richiede un’attenzione non residuale, bensì a tempo pieno e mente vuota.
Nel suo libro dice: «Innanzi tutto, cdb non si nasce ma si diventa». Ci spiega il perché di questa affermazione?
Proprio per quello che ho scritto a pagina 49 del libro: chi ha imparato a leggere con il cosiddetto metodo globale (e siamo ancora molti milioni…) afferra insieme la parola e il suo significato e in base al secondo ‘legge’ la prima, senza accorgersi dell’eventuale errore (al suo cervello non serve rilevarlo, perché ha già capito di cosa si sta parlando). Quindi per il cdb la lettura lenta, quasi sillabica (il contrario della ‘globale’), deve diventare una modalità connaturata e automatica. Ci vogliono tanto esercizio, tanta pazienza e, soprattutto, tanto amore per la lettura, per il libro e per questo mestiere.
Quale rapporto ha avuto con chi ha curato la correzione di bozze dei suoi libri?
Ottimo, perché purtroppo ho dovuto sempre correggermeli da sola. E questa è veramente una disgrazia, perché l’autore, anche se è un cdb, quando legge il suo testo in realtà legge quello che ha già in testa e non quello che è realmente dato nero su bianco. Anche nei miei libri ci sono refusi… Non si dice forse che il calzolaio va con le scarpe rotte?
Mi pare di aver intuito che lei non sia molto positiva rispetto al ruolo e al destino del cdb all’interno della filiera editoriale. Pur capendo perfettamente le motivazioni di questo pensiero, mi chiedo se non sia possibile tentare di cambiare le cose. Facendo uno sforzo di immaginazione, cosa dovrebbe accadere per far sì che finalmente la professione del correttore venga rispettata e valorizzata?
La costituzione di un Ordine dei lavoratori della carta stampata che comprenda cdb, editor, redattori editoriali autonomi, traduttori, grafici editoriali, sulla falsariga di altri ordini professionali come i giornalisti, i medici, gli ingegneri. Quindi con ben precisi diritti e doveri, tariffario, iscrizione obbligatoria all’INPS e versamento dei contributi da parte del datore di lavoro ecc.
Da cdb freelance lavoro direttamente con gli autori o – come esterna – per case editrici e agenzie letterarie. Cosa pensa di questo approccio?
Già ai miei tempi (anni ’80 del secolo scorso) i cdb interni erano una razza in via di estinzione: quando andavano in pensione non venivano sostituiti e ci si rivolgeva direttamente a uno studio editoriale esterno, spesso messo in piedi dai pensionati stessi o da quanti venivano espulsi a causa di fallimenti, accorpamenti di sigle, accordi sindacali e così via. Con il risultato che il compenso accordato dall’editore, già irrisorio per principio, andava diviso (e quasi mai a metà) tra proprietario/direttore dello studio e malcapitato freelance. Ecco spiegato il motivo di tanti secondo/terzolavoristi e del progressivo scadimento del livello editoriale dei libri: sono ormai una ventina d’anni che perfino gli Einaudi, i Laterza, gli Adelphi (per parlare solo dei miti della mia giovinezza) sono infarciti di refusi. Leggerli e correggerli sulla pagina (ma a matita, mi raccomando!) fa parte dell’esercizio costante di cui parlavo all’inizio. A me è capitato davvero pochissime volte che un autore mi chiedesse di correggergli il testo. Presunzione e permalosità sono (ahimè) spesso tratti caratteristici di chi scrive per essere pubblicato.
Diciamo che, stando alle risposte di Marilì, il mondo dell’editoria andrebbe un pochino rivoluzionato! Credo che ognuno di noi debba sforzarsi affinché questa rivoluzione abbia luogo, giorno dopo giorno.
Io ci provo, inaugurando proprio oggi, con questo articolo, il mio blog dedicato alla correzione di bozze e all’editing!