Oggi dialoghiamo con Sonia Campa, autrice di un libro meraviglioso sul mondo dei gatti che tutti dovrebbero leggere. Infatti sono ancora molte le persone che ignorano le caratteristiche basilari di questi felini che abitano le nostre case.
Ciao Sonia, ci racconti brevemente chi sei e cosa fai?
Sei consapevole che, sul piano filosofico, “chi sei?” è in assoluto la domanda più difficile da porre a una persona? Scherzi a parte, penso davvero di essere tante cose ma, dovendo sintetizzare, mi definirei una ricercatrice, una persona alla continua ricerca del capire gli uomini e il mondo. Lo faccio da un punto di vista un po’ bislacco, quello del gatto. Osservare il mondo con gli occhi del gatto permette di avere prospettive da cui è facile lasciarsi meravigliare. Per chi ama la formalità delle etichette e dei titoli, sono una consulente comportamentale, quella professionista che chiami quando hai delle difficoltà di relazione con un gatto e non sai che pesci prendere. Io cerco di aiutare le persone a superare queste difficoltà e, perché no, a trasformarle in un’occasione di crescita reciproca.
Quando è nata la tua passione per i gatti?
Come molti ailurofili, ho sempre amato i gatti e ne ho sempre avuti, sin da bambina, tranne durante gli studi universitari giacché all’epoca, vivendo nella casa dello studente, non avevo una vita sufficientemente stabile per occuparmi di un micio. Terminata l’università, quando finalmente ho potuto iniziare a pagarmi un affitto, una delle prime cose che ho fatto è stata proprio adottare Morgan, con il quale è iniziato un lunghissimo percorso di riscoperta di me stessa e dei miei obiettivi. Complice è stata anche la possibilità, attorno alla seconda metà degli anni Duemila, di frequentare un master universitario post-laurea in etologia degli animali d’affezione, un’esperienza che, oltre ad aver gettato le basi delle mie conoscenze teoriche sul comportamento animale, mi ha letteralmente stravolto la vita. Da lì ho iniziato a percepire che quella che fino ad allora era sempre stata una passione viscerale, poteva diventare un lavoro, fatto di cultura, di approfondimento e continua messa in discussione.
Cosa ti affascina maggiormente di loro?
Me lo sono chiesta spesso. Non ho mai trovato una risposta definitiva ma, ogni volta che provo a capirlo, la prima parola che mi viene in mente è mistero. Dei gatti, oltre l’eleganza e la grazia con cui si muovono nel mondo, credo di amare il loro essere insondabili, il percepire chiaramente che, per quanto si possa studiare, osservare, guardare, scrutare, interrogare, ci sarà sempre una parte inconoscibile, inaccessibile, un loro mistero dell’esistenza che possiamo solo ammirare, indefinitamente, senza riuscire mai a coglierlo fino in fondo. Questo li rende, a una come me animata dal fuoco della ricerca di senso delle cose, un’attrattiva irresistibile, perché con loro so di poter non finire mai: non finire mai di imparare, di meravigliarmi, di estasiarmi, di ammirare la vita.
Cosa noi umani tendiamo a non capire dei gatti e a sottovalutare nei loro comportamenti?
Il problema di noi esseri umani è che, specializzati come siamo nella costruzione culturale, facciamo moltissima fatica a diventare consapevoli delle gabbie mentali in cui ci muoviamo e da cui ci facciamo governare. Siamo in balìa delle nostre narrazioni, autobiografiche o indotte dall’ambiente sociale in cui viviamo, che creano dei filtri e delle alterazioni nella percezione dell’Altro. E se l’Altro è carismatico, enigmatico, socialmente diverso da noi, ma noi non siamo sufficientemente consapevoli da distanziarci dalle nostre personali narrazioni, il rischio di non incontrarlo, di non comprenderlo è altissimo. Nella nostra cultura è ancora molto diffusa l’idea che un gatto “si ha”, un gatto si possiede, è una proprietà, e questa è una distorsione molto potente perché non ci permette di riconoscere nell’animale un essere vivente dotato di dignità, di desideri e di un pensiero proprio, scevro da noi e a volte addirittura in antitesi con noi. Ai gatti si riconoscono bisogni basici da soddisfare – per lo più fisici: mangiare, bere, dormire, forse giocare – ma non si riconosce il diritto a un’esistenza propria, un’esistenza felina.
Perché spesso ci comportiamo con i gatti come se fossero cani?
Questa è un’altra distorsione prodotta dalla cultura dominante che, per me, ha radici in due grandi problemi che affliggono la contemporaneità, almeno nel nostro Paese. Il primo è la tradizionale, scolastica ignoranza riguardo le scienze della vita. La biologia e le sue diramazioni non fanno parte della cultura dell’italiano medio, al contrario sembrano essere nicchie di sapere relegate nei licei di ispirazione tecnico-scientifica. Questo rende gli italiani inabili, non-predisposti a capire la diversità del vivente, e lo vediamo non solo nella comprensione di cani e gatti ma in molti altri ambiti, anche sociopolitici, del quotidiano.
L’altro filone è legato allo strapotere dei media e a una diffusa narrazione degli animali ‘da compagnia’ che appiattisce le differenze, ponendoli tutti sullo stesso piano. Ti faccio un esempio: oggi si fa un gran parlare del ‘diritto’ di portare cani e gatti ovunque con sé, nei ristoranti, negli ospedali, nei luoghi pubblici in generale, facendolo passare per una conquista di civiltà. Ma si ignora il punto di vista di cani e gatti che, in forza della loro storia evolutiva, della loro biologia e della loro biografia (tre elementi che concorrono a rendere unico e soggettivo l’individuo), è assai differente non solo rispetto a quello umano ma anche tra loro. Un cane non vive l’uscita come un gatto, c’è un abisso di distanza tra i due modi di percepire la stessa esperienza.
Ti faccio un altro esempio: hai mai notato come tutti gli animali ai quali, a un certo punto, viene attribuito lo status di pet, cioè da compagnia, finiscono per essere bardati da guinzaglio e pettorina e portati in giro (come fossero cani, appunto)? Persino i volatili. C’è un appiattimento generale di approccio, di conoscenza, che ignora le differenze di specie, anzi le uniforma attraverso prassi passivamente assunte come valide dal senso comune.
Questa distorsione è sintetizzata bene proprio dall’uso dell’etichetta ‘da compagnia’ con cui cataloghiamo alcune specie e che riguarda la funzione che si attribuisce all’animale. Laddove la funzione è uguale per tutti (ovvero ‘fare compagnia all’uomo’), le differenze di specie spariscono perché non sono attinenti alla funzione perseguita. In altre parole, quando guardo un cane o un gatto o un coniglio o un criceto pensandolo come pet, come animale da compagnia, mi sto concentrando sul modo in cui lo renderò funzionale alla mia esistenza (farmi provare affetto, farmi sentire amato, utile a qualcuno, atteso, desiderato, guardato) ma non sto lasciando spazio alla domanda che mi detronizzerebbe dalla centralità del discorso: “Chi sei tu? Qual è la storia personale, unica, irripetibile che ti accingi a scrivere con la tua esistenza?”.
Se iniziassimo a riconoscere la sacralità della vita altrui, forse riusciremmo a vivere con meno frustrazione, ma valorizzandolo, il nostro ruolo di accompagnatori e non di dominatori o gestori o possessori delle vite altrui.
Quali sono le richieste standard che ti fanno i tuoi clienti e le domande tipiche?
Le persone che mi contattano, generalmente, sono alle prese con qualche problema, è purtroppo molto raro che mi si contatti per fare prevenzione. Nella maggior parte dei casi si tratta di problemi di convivenza tra gatti, o sorti in seguito a un’adozione o causati da rapporti che con il tempo si incrinano. Le eliminazioni fuori dalla lettiera sono un altro problema abbastanza ricorrente, sebbene la mia percezione sia che i conflitti di convivenza vengano vissuti con maggior disturbo. Le domande tipiche attengono sempre a “come fare per cambiare/far smettere…” considerando che, spesso, le persone hanno già fatto mille tentativi fai-da-te, cosa che andrebbe evitata perché fa perdere tempo e, spesso, complica ulteriormente la situazione.
In media, quanti seguono i tuoi consigli e superano i loro pregiudizi o le credenze del tipo: “ho sempre avuto un gatto, so tutto di loro”?
È complesso, ogni incontro con un umano è un viaggio, che a volte non parte nemmeno, altre volte arriva a mete sorprendenti. Quello che ho capito nel tempo è che la soluzione di una difficoltà relazionale è legata a doppio filo con la disponibilità di mettersi in discussione. Spesso si chiama l’esperto di turno sperando di ottenere una sorta di ricetta per risolvere il problema, una serie di indicazioni tecniche che, più o meno automaticamente, porteranno il gatto a comportarsi in maniera diversa. È quello che io chiamo ‘schema medico’: hai il mal di testa, ti aspetti il farmaco che te lo faccia passare, qualcosa di esterno a te, prescritto da altri, che ti limiti ad assumere. Siamo abituati a ragionare così, a pensare al processo di ‘cura’ in termini puramente farmacologici.
Quando, però, viene fuori che il problema o la sua soluzione passano anche da un cambiamento personale, le reazioni sono le più disparate.
A volte ci sono difficoltà oggettive a concretizzarlo, ad esempio quando la casa è troppo piccola o troppo ‘piena’ per riuscire a ritagliare uno spazio adeguato per il gatto. Altre volte sono inerenti alla resistenza al cambiamento che tutti ci portiamo dentro, in modo più o meno importante. E questa resistenza, che è personale e affonda le proprie radici nella biografia di ognuno, può oggettivamente ostacolare la soluzione del problema percepito.
Faccio un esempio banale ma molto frequente: uno dei motivi per cui i gatti eliminano fuori dalla lettiera è legato alla collocazione della cassetta. Nel corso della sua vita un micio può avere mille ragioni per smettere di sentirsi a suo agio in un determinato posto, così inizia a fare pipì altrove. La soluzione del problema è assai semplice: spostare la cassetta in una posizione più adeguata, per il punto di vista del gatto. Questo a volte può richiedere spostamenti in zone non gradite agli umani di turno e qui c’è il bivio: coloro che sono in grado di mettere in discussione le loro scelte estetiche e di arredamento riescono ad aprirsi a soluzioni alternative e creative fino ad arrivare alla soluzione del problema; ma c’è anche chi resta arroccato sulle proprie preferenze (o su quelle del partner…) e non è disponibile a dare seguito al bisogno del gatto di eliminare in un luogo a lui più consono. La cassetta non la vogliono spostare. I primi si fanno aiutare, i secondi continuano a cercare il ‘farmaco risolvi-tutto’.
Un problema che, però, sto vedendo emergere sempre più spesso è l’assenza da casa e, quindi, l’isolamento dei gatti: a volte risolvere il problema richiede presenza in casa, sia fisica che mentale. Richiede che ci sia qualcuno ad agire la relazione con il gatto. Ma quando mi sento dire “noi lavoriamo tanto, non ci siamo mai”, allora so di avere davanti un problema molto più grande di quello lamentato, ovvero l’incompatibilità tra lo stile di vita degli adottanti e i bisogni di un animale che non ha scelto di essere preso in carico. Sono situazioni emotivamente e praticamente sempre molto difficili.
Che cosa consiglieresti a chi desidera adottare un gatto?
Per tutto quello che ci siamo dette finora, il primo consiglio sarebbe sicuramente quello di guardare profondamente dentro sé stessi per cercare di capire perché lo si desidera. Dirselo senza moralismi, senza remore, senza risparmiarsi. Guardare in faccia le proprie aspettative è il primo passo per dimensionarle e imparare a gestirle. Perché, sia chiaro, non c’è nulla di male a voler soddisfare dei bisogni affettivi per colorare le nostre esistenze attraverso l’adozione di un animale. Amare qualcuno e sentirsi amati è il senso profondo dell’esistenza umana. Quello da cui i gatti vanno salvaguardati è la facilità con cui questi bisogni – che sono nostri, ci appartengono, stanno dentro di noi e vanno riconosciuti – diventano uno strumento che fagocita la vita del gatto e la appiattisce fino a renderlo spettatore passivo delle nostre scelte. I gatti hanno un mondo interno incredibilmente ricco e sfaccettato, aprirci alla sua scoperta, ascoltare la loro voce, è il vero dono dell’adozione. Ma per farlo, come dicevo, non bastano una casa grande e tanto amore da donare. Servono presenza e autoconsapevolezza.
I gatti ti obbligano a non esprimere mai giudizi definitivi su di loro e, nello stesso tempo, emanano un costante richiamo alla loro storia evolutiva, a quel loro mondo di felinità fatto di territorio, di odori, di marcature, di competizioni, di distanze, di attesa cui reclamano appartenenza e aderenza indiscriminata. Sono un connubio perfetto di mistero e pragmatismo per chi vuole restare umile.
Per chi volesse approfondire la conoscenza del meraviglioso mondo dei gatti, può leggere il libro di Sonia L’insostenibile tenerezza del gatto.